Il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale (AI) e la sua crescente adozione da parte delle grandi aziende tecnologiche stanno influenzando profondamente il mercato del lavoro e le dinamiche fiscali globali. L’automazione spinta dall’AI sta generando un dibattito acceso sulla necessità di introdurre nuove forme di tassazione specifiche per questa tecnologia, in un contesto dove la sostituzione della forza lavoro umana con sistemi automatizzati mette a rischio le basi tradizionali del gettito fiscale.
impatto delle grandi aziende tecnologiche sull’occupazione
Società come Amazon, dopo aver registrato una crescita dei profitti pari al 38% e investimenti massicci nell’AI, hanno annunciato piani di taglio drastico dei posti di lavoro, con una riduzione globale stimata in 14.000 posizioni. Documenti interni rivelano che entro il 2027 l’azienda prevede di evitare l’assunzione di oltre 160.000 dipendenti grazie all’automazione, ottenendo un risparmio medio di circa 30 centesimi per ogni articolo gestito. Inoltre, Amazon intende raggiungere un livello del 75% di automazione nelle sue strutture dedicate alle consegne ultra-rapide, riducendo così significativamente la dipendenza dalla manodopera.
Anche altre multinazionali come Meta e UPS stanno accelerando l’integrazione dell’intelligenza artificiale accompagnata da riduzioni occupazionali. Secondo stime del World Economic Forum, entro il 2030 AI e automazione potrebbero soppiantare circa 92 milioni di posti di lavoro a livello mondiale, mentre ne creeranno circa 170 milioni nuovi.
- Amazon
- Meta
- UPS
- Membri del World Economic Forum coinvolti nelle stime
dibattito sull’introduzione di una tassa specifica sull’intelligenza artificiale
posizioni degli esperti economici e istituzionali
Sempre più economisti ed esperti si mostrano contrari all’istituzione di una tassazione dedicata esclusivamente all’AI. Sanjay Patnaik, direttore del Center on Regulation and Markets presso il Brookings Institution, evidenzia che negli Stati Uniti l’85% delle entrate fiscali federali deriva dal reddito da lavoro. L’avanzamento dell’automazione potrebbe quindi erodere questa fonte, ma propone invece un aumento della tassazione sui capital gains piuttosto che una nuova imposta specifica sull’AI, ritenuta complessa da implementare e potenzialmente distorsiva per i mercati.
Anche il Fondo Monetario Internazionale ha espresso pareri simili in un report estivo: sconsiglia tasse mirate all’intelligenza artificiale perché potrebbero frenare la produttività e alterare i meccanismi economici. Suggerisce invece interventi su imposte patrimoniali più elevate, tasse aggiuntive sui profitti aziendali “eccessivi” e una revisione dei benefici fiscali legati a innovazioni e brevetti.
Dall’Istituto svedese per la ricerca industriale arriva ulteriore critica verso l’idea della tassa AI: Daniel Waldenström sottolinea come anche negli Stati Uniti — leader nel settore — non si sia osservato un incremento significativo nella disoccupazione causata dall’automazione. Raccomanda pertanto il mantenimento delle attuali imposte su redditi da lavoro, consumi e capital gains senza introdurre misure specifiche per AI o robotica.
- Sanjay Patnaik – Brookings Institution
- Economisti FMI
- Daniel Waldenström – Istituto svedese per la ricerca industriale
- Susan Bieller – Segretaria generale International Federation of Robotics (IFR)
- Carl Frey – Università di Oxford
- Daron Acemoğlu & Simon Johnson – Economisti MIT
- Luz Rodríguez – Ex segretaria spagnola agli affari occupazionali
squilibri fiscali che incentivano l’automazione
Carl Frey dell’università di Oxford evidenzia uno squilibrio nella struttura fiscale globale: mentre le aliquote sulle imposte sul reddito sono aumentate in molti paesi membri dell’Ocse, quelle sulle imprese sono diminuite sensibilmente dal 33% nel 2000 al circa25% attuale. Questo fenomeno favorisce gli investimenti nell’automazione rispetto alla creazione diretta di posti lavorativi.
D’altra parte Susanne Bieller della International Federation of Robotics avverte che gravare fiscalmente gli strumenti produttivi anziché i profitti aziendali può compromettere competitività ed occupazione. Sottolinea inoltre come la carenza globale annua stimata in circa quaranta milioni di lavoratori renda indispensabile l’impiego dei robot per supportare attività specifiche aumentando così la produttività complessiva.
prospettive economiche legate all’intelligenza artificiale tra opportunità e rischi
I principali istituti finanziari prevedono effetti positivi significativi derivanti dall’espansione dell’AI: Goldman Sachs stima un aumento del PIL mondiale pari al +7% nei prossimi dieci anni; il Fondo Monetario Internazionale indica contributi annuali allo sviluppo economico fino a +0,8 punti percentuali tra il periodo dal2025 al2030.
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro segnala che circa il25% della forza lavoro globale — prevalentemente nei paesi ad alto reddito — svolge mansioni con elevato grado d’interazione con tecnologie AI; Si prevede soprattutto una trasformazione delle professioni esistenti piuttosto che una loro totale sparizione.
Nel frattempo Daron Acemoğlu e Simon Johnson hanno messo in guardia sul fatto che sebbene l’automazione abbia aumentato produttività e profitti aziendali negli ultimi quattro decenni non ha garantito una distribuzione equa della ricchezza nei paesi industrializzati.
Infine Luz Rodríguez ha evidenziato come le nuove tecnologie generative basate su AI colpiscono maggiormente ruoli altamente specializzati richiedenti capacità critiche superiori rispetto alle precedenti ondate automatizzanti.
- Daron Acemoğlu – Economista MIT
- Simon Johnson – Economista MIT
- Luz Rodríguez – Ex segretaria spagnola agli affari occupazionali














Lascia un commento