Il dibattito riguardante l’intelligenza artificiale e il suo impatto sul mercato del lavoro ha acquisito nuova intensità negli ultimi anni. L’ex dirigente di Google, Mo Gawdat, ha espresso opinioni particolarmente nette e controverse, affermando che l’idea che l’AI genererà più posti di lavoro di quanti ne elimini è “totalmente falsa”. Questa valutazione non si limita solo ai ruoli di livello base; secondo Gawdat, anche i dirigenti e i professionisti creativi potrebbero trovarsi in una posizione precaria.
ex-google non crede che l’intelligenza artificiale aiuti a creare posti di lavoro; anche i ceo sono a rischio
Gawdat, esperto nel settore tecnologico, sostiene che la spinta verso l’AI non è motivata dall’innovazione fine a se stessa, ma piuttosto dalla ricerca di risparmi economici attraverso la sostituzione del lavoro umano. Cita la sua esperienza con una startup AI, spiegando come un progetto che richiedeva 350 sviluppatori in passato sia stato realizzato con solo tre esperti e intelligenza artificiale. Secondo lui, questa efficienza rappresenta un trend crescente: le aziende stanno sempre più adottando soluzioni AI per ridurre il personale umano.
Le sue previsioni riguardano ambiti lavorativi considerati sicuri, come editor video, podcaster e persino CEO. Gawdat ritiene che una volta raggiunto un certo livello di intelligenza generale artificiale (AGI), essa supererà gli esseri umani in ogni aspetto, compresa la gestione aziendale. Afferma addirittura che “la maggior parte dei CEO incompetenti sarà sostituita” dall’AI.
altri nomi prominenti sono più ottimisti
Non tutti condividono il pessimismo di Gawdat. Altri leader tecnologici offrono una visione più positiva. Imprenditori come Mark Cuban e Jensen Huang credono che sebbene l’AI cambierà la natura del lavoro, apprendere ad utilizzarla conferirà ai lavoratori un vantaggio competitivo. Si sostiene quindi che saranno necessari professionisti capaci di programmare, gestire e formare questi sistemi; coloro che possiedono solide competenze in AI prospereranno.
I dati del rapporto “Future of Jobs” del World Economic Forum aggiungono ulteriori elementi al dibattito: mentre il 41% dei datori di lavoro globali prevede riduzioni occupazionali a causa dell’AI, ben il 77% intende invece “riqualificare” il proprio personale attuale per favorire una migliore integrazione con questa tecnologia. Ciò suggerisce un futuro non necessariamente caratterizzato dalla sostituzione umana ma da una collaborazione tra esseri umani e AI.
l’intelligenza artificiale non è il cattivo, gawdat dice
In conclusione, Gawdat non considera l’AI come il principale antagonista della situazione attuale. La responsabilità ricade piuttosto su quei “CEO avidi di denaro” troppo inclini ad adottare questa tecnologia per ottenere guadagni finanziari senza considerare le conseguenze sociali. Per lui, l’avvento dell’AI potrebbe rappresentare un’opportunità per un significativo cambiamento sociale, liberando gli individui dalla “menzogna capitalista” secondo cui il loro scopo è definito dal lavoro. Avverte che questo cambiamento richiederà probabilmente nuove politiche sociali; ad esempio, sarebbe necessario implementare un reddito universale di base (UBI) per garantire una transizione fluida verso un futuro dominato dall’intelligenza artificiale.
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